DIRITTO E CIBO – Essere o non essere un PANETTONE… questo è il problema!

DIRITTO E CIBO – Essere o non essere un PANETTONE… questo è il problema!
22 Dicembre 2020 Il Mercato Verde

Denominazione LEGALE dell’alimento: Il PANETTONE

Essere o non essere un PANETTONE… questo è il problema!

di Cinzia Catrini – Avv. penalista specializzata in diritto e sicurezza alimentare

Quale dolce può essere chiamato “panettone”? Quali ingredienti sono obbligatori, quali possono essere aggiunti come facoltativi e cosa bisogna scrivere in etichetta? E… se non rispetto le regole… quali sanzioni possono essere applicate? E quali sono le eccezioni? Una mini guida alla produzione e vendita del prodotto da forno chiamato “panettone”.

Facciamo innanzitutto una premessa, per distinguere denominazione dell’alimento legale, usuale e descrittiva.

La denominazione dell’alimento è la prima informazione obbligatoria da riportare in etichetta, quella che permette al consumatore di conoscere la natura del prodotto. Non va confusa con il marchio, o il nome commerciale, che ha il solo valore di identificare e distinguere il singolo articolo di un produttore o un distributore rispetto ad altri.

In base al disposto di cui all’art. 17 del Reg. UE n. 1169/2011 “La denominazione dell’alimento è la sua denominazione legale. In mancanza di questa, la denominazione dell’alimento è la sua denominazione usuale; ove non esista o non sia utilizzata una denominazione usuale, è fornita una denominazione descrittiva”.

La denominazione legale è prevista per la gran parte degli alimenti di base: olio di oliva, vini, marmellate, pasta e semola, riso, pane e farine e, soprattutto per molti dolci caratteristici tra i quali il PANETTONE.

Il ricorso a una denominazione legale garantisce al consumatore la corrispondenza del prodotto con i requisiti qualitativi di composizione e/o preparazione definiti dal legislatore europeo o da quello nazionale. Nei casi di indicazioni geografiche registrate – es. DOP, IGP, STG – l’impiego del nome caratteristico è vincolato al rispetto di un disciplinare più o meno rigoroso, a seconda delle situazioni. Altrettanto dicasi per i prodotti agroalimentari tradizionali (c.d. PAT) di cui in apposito elenco periodicamente aggiornato dal Ministero dell’Agricoltura tra i quali spicca il PANETTONE [1].

La denominazione usuale, invece, è quella cui ci si riferisce, in assenza di un’apposita disciplina, per gli alimenti tradizionalmente noti al consumatore medio. Gli esempi sono numerosi, basti pensare al pane carasau o ai taralli, alle orecchiette o agli agnolotti.

Infine, la denominazione descrittiva risulta necessaria quando manchino riferimenti normativi o consuetudinari. In tali casi, l’alimento deve venire descritto con precisione, affinché i consumatori possano intendere con facilità la natura del prodotto: in questi è d’obbligo fare sempre attenzione alla lista ingredienti (si pensi a una crema spalmabile alle nocciole… cosa conterrà??).

Ciò premesso, una prima conclusione che possiamo trarre è che PANETTONE è la denominazione legale SOLO di quel dolce tipico di Natale riconosciuto come prodotto della tradizione (c.d. PAT) e la cui produzione è disciplinata ai sensi del Decreto del Ministero delle attività produttive del 22 luglio 2005, aggiornato con DM del 16 maggio 2017 (che, peraltro, interessa anche la produzione del pandoro, della colomba, dei savoiardi e degli amaretti)[2]. Le regole di produzione e commercializzazione si applicano sia alle produzioni industriali sia a quelle artigianali.

In particolare, il Decreto fissa gli ingredienti obbligatori, quelli facoltativi e il procedimento di produzione nonché le deroghe per quanto riguarda la presenza/assenza di uva passa e canditi in panettoni e colombe, e in generale per le glassature e le farciture (art. 7). Questo rende possibili una serie di variazioni sul tema delle ricette originali lasciando spazio alla fantasia dei pasticceri, ma l’assenza di alcuni ingredienti, la loro sostituzione con altri o la presenza di ingredienti aggiuntivi deve essere indicata chiaramente nella stessa denominazione di vendita (ad es.: “Panettone senza canditi”).

Lo stesso dicasi per eventuali ingredienti aggiunti (rispetto a quelli “base” previsti normativamente ed obbligatori!) caratterizzanti il prodotto che devono essere dichiarati nella denominazione di vendita, indicandone anche la relativa percentuale di impiego. Non è, invece, prescritta una gamma obbligatoria di peso, e quindi le imprese sono libere di utilizzare i valori che desiderano (Panettoni piccole dimensioni potranno essere denominati “panettoncini”).

Se ne inferisce che è possibile commercializzare il PANETTONE con la sua denominazione di vendita SOLO ALLORCHÉ CI SI ATTENGA alla ricetta ed alla modalità di produzione regolamentate.

Il Panettone: definizione, ingredienti obbligatori e facoltativi

Questa denominazione è riservata al prodotto dolciario da forno a pasta morbida, ottenuto per fermentazione naturale da pasta acida, di forma a base rotonda con crosta superiore screpolata e tagliata in modo caratteristico, di struttura soffice ad alveolatura allungata e aroma tipico di lievitazione a pasta acida. I suoi ingredienti principali sono: farina di frumento; zucchero; uova di gallina di categoria “A” o tuorlo d’uovo (derivato da uova di gallina di categoria “A”), o entrambi, in quantità tali da garantire non meno del 4% in tuorlo; burro ottenuto direttamente ed esclusivamente dalle creme di latte vaccino con un apporto in materia grassa butirrica, in quantità non inferiore al sedici al 16%; uvetta e scorze di agrumi canditi, in quantità non inferiore al 20%; lievito naturale costituito da pasta acida; sale (compreso il sale iodato). Sono invece ingredienti facoltativi: latte e derivati; miele; malto; burro di cacao; zuccheri; lievito (fino al limite dell’1%); aromi naturali e naturali identici; emulsionanti; conservante acido sorbico; conservante sorbato di potassio.

(Fonte art. 1 DM 16 maggio 2017)

Prodotti speciali e arricchiti

Accanto alle versioni “classiche” vengono disciplinate le versioni “speciali e arricchite”, cioè quelle con farciture, ripieni, glassature e decorazioni, che comunque dovranno contenere per “panettone” almeno il 50% dell’impasto base. Tutte le variazioni dovranno essere riportate in etichetta accanto alla denominazione riservata per consentire così al consumatore di comprendere agevolmente le reali caratteristiche del prodotto che lo differenziano dalla versione classica: “Il panettone è prodotto secondo il procedimento di cui all’All. II, punto 1”, ovvero: “Il processo tecnologico della fabbricazione del panettone prevede le seguenti fasi di lavorazione, anche fra loro accorpabili:

a) preparazione della pasta acida; b) fermentazione; c) preparazione impasto con dosaggio ingredienti e aggiunta inerti e impastamento; d) porzionatura; e) “arrotondamento della porzione della pasta (pirlatura)”, con deposizione dell’impasto nello stampo di cottura; f) lievitazione; g) “scarpatura”; h) cottura; i) raffreddamento; j) confezionamento”

(Fonte art 1, comma 5 DM 16 maggio 2017).

 

Quando non si può chiamare “panettone”

È vietato pertanto denominare (chiamare) un prodotto “panettone” se la ricetta non è coerente con quanto disposto dalla normativa ed è realizzato con modalità differenti da quelle previste. Per i prodotti non conformi alle disposizioni del decreto dovranno essere adottate denominazioni di vendita alternative quali, ad esempio, “dolce di Natale” in luogo di “panettone”.

Cosa scrivere in etichetta

Inoltre, in tema di etichettatura, l’art. 8 DM 2017 dispone, come avevamo già accennato, che sia possibile utilizzare diminutivi ma che in etichetta sia obbligatorio indicare gli ingredienti obbligatori, facoltativi, e la presenza o assenza di uva passa, canditi, glassature o farciture.

LE ETICHETTE

1. I prodotti disciplinati dal presente regolamento sono etichettati in conformità alle disposizioni di cui al Reg. UE n. 1169/2011 e successive modifiche. Tuttavia le denominazioni di vendita dei prodotti di cui agli artt. 1, 2 e 3 di piccole dimensioni possono essere riportate con relativi diminutivi, come “pandorino”, “panettoncino” e “colombina” o similari.

2. Nei casi di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 7 la denominazione di vendita del prodotto deve contenere l’indicazione dell’assenza di uvetta o di scorze di agrumi canditi o di entrambi come pure l’indicazione di assenza/modifica della glassatura e relativo decoro per le colombe ricoperte o da ricoprire.

3. Le aggiunte di cui ai comma 3 e 4 dell’art. 7 possono essere elencate in etichetta separatamente dagli ingredienti dell’impasto.

4. I prodotti di cui all’art. 7 possono anche essere presentati con caratteristiche di forma di fantasia diverse da quelle previste dal comma 1 degli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, purché l’etichettatura presenti un’indicazione o una rappresentazione grafica delle caratteristiche di forma del prodotto.

5. I prodotti di cui all’art. 7 possono riportare la denominazione di vendita definita dagli artt. 1, 2, 3, 4, 5 e 6, purché completata dalla indicazione dei principali ingredienti caratterizzanti eventualmente utilizzati in aggiunta o in sostituzione a quelli elencati negli stessi articoli.

(Fonte art. 8 DM 16 maggio 2017).

 

Le sanzioni

Ovviamente non mancano le sanzioni. Infatti, l’art. 9 bis DM prevede specifiche sanzioni in caso di violazione di quanto disposto dal DM 2017, in particolare:

“1. Per le violazioni al presente decreto si applicano le disposizioni dell’art. 4, comma 67, della L. 24.12.03, n. 350, ovvero: “Salve le norme penali e le sanzioni amministrative vigenti in materia di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari, l’uso delle denominazioni di vendita dei prodotti (….) e dei prodotti da forno italiani in difformità dalle disposizioni dei decreti di cui al comma 66[3] è punito con la sanzione amministrativa da tremila a quindicimila euro. La confisca amministrativa dei prodotti che utilizzano denominazioni di vendita in violazione dei decreti di cui al comma 66 è sempre disposta, anche qualora non sia stata emessa l’ordinanza-ingiunzione di pagamento della sanzione di cui al presente comma, e quelle del D.lgs. n. 260/2005”, ovvero il Codice del consumo che riordina le normative concernenti i processi dì acquisto e consumo, al fine di assicurare un elevato livello di tutela dei consumatori e degli utenti le cui sanzioni possono variare a seconda della condotta posta in essere.

Infatti al comma 2 dell’art. 9 bis è previsto che:

“2. Salve le norme penali vigenti in materia di etichettatura e presentazione dei prodotti alimentari, le sanzioni previste per la pubblicità ingannevole di cui al D.lgs. n. 206/2005, si applicano a quei prodotti che, pur riportando denominazioni di vendita diverse da quelle stabilite nel decreto e non rispettando le caratteristiche di composizione quali-quantitative previste, utilizzano forme e modalità di presentazione identiche e confondibili con i prodotti disciplinati creando confusione nel consumatore”. Le sanzioni amministrative in questo caso saranno quindi quelle relative alla Sez. I, “Pratiche commerciali ingannevoli” D.lgs. n. 206/2005 con specifico riferimento alla violazione dell’art. 21 “Azioni ingannevoli” ma altresì dell’art. 22 “Omissioni ingannevoli” ed ancora dell’art. 23. “Pratiche commerciali considerate in ogni caso ingannevoli” proprio a seconda della condotta specifica posta in essere[4].

Ma di sanzioni parleremo più approfonditamente anche più avanti, in quanto come detto espolicitamente dall’art. 9 bis sono fatte salve le sanzioni penali e le sanzioni in materia di etichettatura (in via esemplificativa, Reg. UE m. 1169/2011, Codice penale, L. n. 283/1962…).

Le eccezioni: il glutine!

Vigono però delle eccezioni, doverose, rispetto al disciplinare per le persone affette dal morbo della celiachia.

Infatti, l’art. 8 bis DM – Deroghe prevede che:

“1. I prodotti fabbricati in conformità al presente decreto, specificamente formulati per persone intolleranti al glutine, possono riportare le denominazioni riservate previste agli artt. 1 (…. PANETTONE) purché in linea con quanto stabilito dal regolamento di esecuzione UE n. 828/2014 [5].

  1. Per la sostituzione degli ingredienti apportatori di glutine nei prodotti di cui al comma precedente è consentito esclusivamente l’impiego di ingredienti tecnologicamente necessari a tale scopo”.

Entriamo quindi nel mondo della celiachia perché vi sono anche altre cose importanti da sapere….

Nello specifico il Reg. UE n. 828/2014 ha stabilito le condizioni d’uso della dicitura “senza glutine” (che fa parte dei cosiddetti “claim” quindi è una indicazione volontaria) che garantisce al celiaco, sia sui prodotti confezionati che su quelli venduti sfusi, un contenuto massimo di 20 mg per ogni kg di glutine. L’azienda che indica un suo prodotto alimentare “senza glutine” deve garantire quindi sia l’assenza di ingredienti contenenti glutine ed anche l’assenza del pericolo di contaminazione[6].

Vediamo adesso le diciture, quindi cosa si può scrivere. ll regolamento, infatti, ha stabilito che la dicitura “senza glutine” può essere seguita dalle indicazioni “specificamente formulato per celiaci – persone intolleranti al glutine” o “adatto ai celiaci – persone intolleranti al glutine”.

La prima dicitura può essere usata solo per gli alimenti dove il glutine, tradizionalmente presente, viene ridotto o sostituito (pane, pasta, biscotti ecc.). L’uso della dicitura è volontario, ma diventa obbligatorio per i prodotti inseriti nel Registro Nazionale degli alimenti senza glutine (RNA), erogabili al celiaco dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), quindi in questo caso ad esempio pane e affini, prodotti da forno, cereali per la prima colazione (per la consultazione del prontuario completo aggiornato al 2020/2021 si può accedere se soci al sito dell’ AIC, diversamente, si trovano indicazioni generiche sul sito del Ministero della Salute).

Invece la dicitura “adatto ai celiaci – persone intolleranti al glutine” può essere utilizzata per qualsiasi alimento, sempre in abbinamento a “senza glutine”, purché sia garantita l’assenza di materie prime contenenti glutine e l’assenza di contaminazione[7]. Unico divieto di utilizzo è su tutti quegli alimenti che non contengono mai glutine (es. l’acqua o i formaggi tradizionali), per cui l’indicazione risulterebbe superflua e potenzialmente ingannevole per il consumatore, che sarebbe indotto a credere che solo i prodotti con la dicitura fossero idonei, quando invece l’intera categoria è adatta ai celiaci. Quindi… attenzione a non cadere in trappola.

Sempre in tema di etichettatura, oltre alle specifiche menzioni previste dal DM, si applicano come previsto dal DM e sopra specificato anche le disposizioni generali di cui al Reg. (UE) n. 1169/2011 che dice che nell’etichetta del PANETTONE dovranno perciò figurare le indicazioni obbligatorie e facoltative ed essere rispettati i principi pertinenti le modalità di comunicazione delle informazioni riportate al consumatore. In via del tutto esemplificativa il primo principio da rispettare e posto alla base delle informazioni sui prodotti alimentari è quello di lealtà (art. 7) inteso nella sua accezione di non ingannevolezza, precisione, chiarezza nonché divieto di riferimenti a proprietà di prevenzione, trattamento, guarigione di una malattia, salvo le deroghe previste dall’art. 7.3. (si tratta delle informazioni volontarie, dei cosiddetti claims salutistici e nutrizionali, di cui avremo modo di parlare). Inoltre, le modalità con le quali devono essere indicate le cosiddette indicazioni obbligatorie sono dettate dall’art. 13 del Reg. (UE) n. 1169/2011 che stabilisce che devono essere apposte in un punto evidente in modo da essere facilmente visibili, chiaramente leggibili ed eventualmente indelebili. Esse non dovranno essere in alcun modo nascoste, oscurate, limitate o separate da altre indicazioni scritte o grafiche o altri elementi suscettibili di interferire. Laddove per indicazioni obbligatorie ai sensi del regolamento sono da intendersi: la denominazione dell’alimento, l’elenco degli ingredienti, l’uso di coadiuvanti o ingredienti che provocano allergie o intolleranze, la quantità di alcuni ingredienti, la quantità netta dell’alimento, il termine minimo di conservazione o la data di scadenza, le condizioni particolari di conservazione o le modalità di impiego, il nome e l’indirizzo dell’operatore, il paese di origine o il luogo di provenienza del prodotto quando l’assenza di questo tipo di informazione può trarre in inganno il consumatore, le istruzioni per l’uso – se necessarie -, la dichiarazione nutrizionale e, per le bevande alcoliche, il titolo alcolometrico volumico effettivo. Nella dichiarazione nutrizionale, obbligatoria a partire dal 13 dicembre 2016, devono essere riportate almeno le seguenti informazioni: il valore energetico e la quantità di grassi, acidi grassi saturi, carboidrati, zuccheri, proteine e sale. Se queste sono le disposizioni generali, non bisogna, poi, dimenticare che per alcune categorie di alimenti trovano applicazione norme specifiche in materia di etichettatura, soprattutto sotto l’aspetto specifico dell’origine e della provenienza, ma non solo. Bene inoltre ricordare, in relazione alla etichettatura degli allergeni, che l’art. 21, paragrafo 1, comma 4 di detto regolamento dispone che è obbligatorio mettere in evidenza la loro presenza nell’alimento, indicando il nome della sostanza o del prodotto che provoca allergie o intolleranze utilizzando una tipologia di carattere nettamente distinta (per dimensione o stile o colore) da quella utilizzata per gli altri ingredienti. Solo allorché la denominazione dell’alimento faccia chiaramente riferimento alla sostanza o al prodotto in questione (ad esempio perché trattasi di prodotto alimentare costituito di un solo ingrediente che rientra nell’elenco degli allergeni, ad esempio una confezione di uova o senape …), tali indicazioni e le relative modalità d’indicazione non sono richieste.

La legge stabilisce, inoltre, che quando vi siano più ingredienti o coadiuvanti tecnologici che possano provocare allergia e provengano da un solo ingrediente comunque devono essere tutti messi in evidenza. Lo stesso dicasi anche nel caso in cui la loro presenza nell’alimento finito sia veicolata da altri costituenti dell’alimento stesso per i quali non sia richiesta la menzione nell’elenco degli ingredienti: parliamo dei cosiddetti carry over, ossia additivi ed enzimi alimentari la cui presenza nell’alimento è dovuta per il solo fatto che essi erano contenuti in uno o più ingredienti di tale alimento e che non svolgono in questo alcuna funzione attiva o tecnologica, e parliamo anche dei coadiuvanti tecnologici i quali, unitamente ai primi, sono costituenti la cui menzione nell’elenco degli ingredienti non è normalmente richiesta (tradotto si tratta di costituenti che servono ai fini della produzione dell’alimento ma non ne entrano a far parte una volta finito e che, quindi, mentre generalmente non compaiono nell’elenco degli ingredienti, nel caso degli allergeni, invece, devono, essere indicati a tutela della salute del consumatore).

Ulteriore eccezione alla regola ricorre nel caso in cui non vi sia un elenco degli ingredienti (prevista nel caso di confezioni con superficie massima di 10 cm2), anche in tal caso, infatti, le indicazioni sulla presenza di allergeni devono, comunque, essere riportate in etichetta ed includono il termine “contiene” seguito dalla denominazione dell’allergene (ad esempio contiene uova).

Insomma, gli allergeni devono essere indicati sempre!

Di seguito prenderemo quindi in considerazione le sanzioni previste nel caso di violazione dei principi generali base, dell’indicazione obbligatoria “denominazione di vendita”, ovvero quelle relative agli “ingredienti” ed, infine, quelle riferite agli “allergeni”.

Le sanzioni

Oltre alle sanzioni indicate dal DM del 16 maggio 2017, che come sopra specificato potrebbero essere contestate, sono irrogabili anche le sanzioni previste ai sensi del D.lgs. n. 231/2017 per violazione di quanto disposto dal Reg. (UE) n. 1169/2011 in tema di etichettatura e corretta informazione al consumatore nonché quelle del codice penale. Vediamo nel dettaglio.

  1. Le sanzioni introdotte dal D.lgs. n. 231/2017 sono soltanto di natura amministrativa. Gli importi delle sanzioni amministrative contemplate dal decreto variano tra un minimo di 500 e un massimo di 40.000 euro, entro cinque scaglioni individuati sulla base della gravità delle diverse violazioni. Fatta salva la possibilità di ridurre le pene fino al 33,3% (un terzo), allorché comminate a micro-imprese (con fatturato o bilancio inferiore a 2 milioni di euro, e meno di 10 dipendenti), e l’obbligo di diffida preventiva – in luogo della sanzione – in occasione del primo illecito riscontrato dalle autorità pubbliche di controllo.

È in ogni caso fatta salva anche in tal caso l’ipotesi che le fattispecie in esso considerate possano configurare ipotesi di reato. Avendo riguardo, in particolare, ai delitti puniti dal codice penale agli articoli 515-517bis (frode in commercio aggravata).

 Premesso che, come detto, valgono anche per l’etichettatura del panettone le disposizioni di cui al Reg.(UE) n. 1169/2011, il D.lgs. n. 231/2017 prevede, in via esemplificativa le sanzioni nei seguenti casi.

  1. a) Pratiche leali d’informazione (art. 3)

La violazione dei criteri generali di trasparenza e corretta informazione dei consumatori è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria da 3 mila a 24 mila euro, ‘salvo che il fatto costituisca reato e ad esclusione delle fattispecie specificamente sanzionate’ da altre disposizioni del decreto. Le informazioni obbligatorie, come quelle facoltative, devono risultare ‘precise (cioè veritiere e dimostrabili con dati obiettivi), chiare e facilmente comprensibili per il consumatore’.

Ed è vietato indurre in errore il consumatore:

  • ‘sulle caratteristiche dell’alimento e, in particolare, la natura, l’identità, le proprietà, la composizione, la quantità, la durata di conservazione, il paese d’origine o il luogo di provenienza, il metodo di fabbricazione o di produzione’, ‘attribuendo al prodotto alimentare effetti o proprietà che non possiede’,
  • ‘suggerendo che l’alimento possiede caratteristiche particolari, quando in realtà tutti gli alimenti analoghi possiedono le stesse caratteristiche, in particolare evidenziando in modo esplicito la presenza o l’assenza di determinati ingredienti e/o sostanze nutritive’,
  • ‘suggerendo, tramite l’aspetto, la descrizione o le illustrazioni, la presenza di un particolare alimento o di un ingrediente, mentre di fatto un componente naturalmente presente o un ingrediente normalmente utilizzato in tale alimento è stato sostituito con un diverso componente o un diverso ingrediente’.
  1. b) Leggibilità e campo visivo (art. 6)

La violazione dei criteri generali e specifici (ad esempio per gli allergeni di cui all’art. 21 REN. N. 1169/2011) la garanzia della leggibilità delle informazioni in etichetta è punita con la sanzione da € 1.000 a € 8.000. Identica sanzione si applica qualora le informazioni che devono apparire nello stesso campo visivo – denominazione di vendita e quantità, oltre al tenore alcolometrico per le bevande alcoliche – siano altrimenti collocate.

Inoltre, nel caso della denominazione legale dell’alimento si prospettano ipotesi sanzionatorie differenti a seconda che la stessa venga utilizzata nei seguenti casi:

1) Denominazione legale, non-conformità

Uno dei casi più frequenti di frode in commercio è quello di vendita di alimenti che non rispondano – nella composizione e modalità di preparazione, nelle caratteristiche chimico-fisiche o nelle proprietà organolettiche – ai criteri definiti da apposite normative (europee o nazionali) per l’impiego della denominazione legale invece utilizzata. L’ipotesi più ricorrente è proprio quella di alcuni prodotti dolciari da forno che non rispondano ai requisiti stabiliti, rispettivamente, nel decreto interministeriale del 22.7.05 (aggiornato 16.5.2017 PANETTONE).

2) Violazione norme generali (art. 5) in riferimento alle indicazioni obbligatorie in etichetta tra le quali è ricompresa la denominazione legale.

La ‘mancata apposizione’ di una o più delle altre informazioni obbligatorie comporta l’applicazione al soggetto responsabile di una sanzione amministrativa pecuniaria da € 3.000 a € 24.000. Ci si riferisce, in particolare, alla “denominazione alimento”

3) Denominazione alimento (art. 8)

Il mancato rispetto dei criteri prescritti per la denominazione (legale, usuale o descrittiva) dell’alimento – ovvero l’impiego, in sua vece, di una denominazione protetta, un marchio o un nome di fantasia – è punito con la sanzione da € 2.000 a 16.000. La pena viene ridotta, da € 500 a 4.000, ove le suddette violazioni siano esclusivamente dovute a ‘errori od omissioni formali’. La pena è ugualmente ridotta nel caso d’impiego di denominazione legalmente utilizzata nel (diverso) Paese di produzione e tuttavia non chiara né chiarita ai consumatori italiani.

Altre sanzioni…

Inoltre, come visto ai fini del rispetto del disciplinare di produzione devono essere utilizzati determinati ingredienti e in quantità definite, quindi pare opportuno precisare che sono previste sanzioni anche nei seguenti casi:

1) Altre informazioni obbligatorie

La ‘mancata apposizione’ di una o più delle altre informazioni obbligatorie comporta l’applicazione al soggetto responsabile di una sanzione amministrativa pecuniaria da € 3.000 a € 24.000. Ci si riferisce, in particolare, alla “lista ingredienti e additivi”

2) Lista ingredienti (art. 9)

Il mancato rispetto delle disposizioni sulla denominazione degli ingredienti è soggetto a una pena da € 2.000 a € 16.000. In misura ridotta, da € 500 a € 4.000, qualora la violazione riguardi solo errori od omissioni formali. La violazione delle disposizioni specifiche relative all’indicazione e designazione degli ingredienti soggiace a sua volta a una sanzione da € 1.000 a € 8.000. I casi, indicati in Allegato VII al reg. UE 1169/11, sono molteplici. Dall’obbligo di indicare gli ingredienti in ordine decrescente di peso – che comporta, tra l’altro, l’obbligo di precisare la natura degli oli e grassi vegetali raffinati, alla designazione degli ingredienti con il nome della categoria, ove del caso seguita dal loro nome specifico o dal codice ‘E…’ di autorizzazione (per quanto attiene agli additivi alimentari).

3) Indicazione quantitativa degli ingredienti (QUID) e quantità netta (art. 11)

‘Salvo che il fatto costituisca reato’, l’infrazione delle norme sull’“indicazione quantitativa degli ingredienti (QUID, Quantity of Ingredient Declaration)” e la “quantità netta” è punita con una sanzione amministrativa di importo variabile tra € 1.000 e € 8.000.

Peraltro, la violazione dei criteri d’indicazione della quantità dell’alimento spesso può integrare – nella gran parte dei casi almeno, quando il peso o volume effettivo risulti inferiore a quello dichiarato – il delitto di frode in commercio. Quand’anche l’etichetta riporti un’illecita dicitura del tipo “prodotto soggetto a calo (naturale) di peso”. Altrettanto dicasi per la falsa rappresentazione della quantità dell’ingrediente caratteristico, laddove il consumatore venga indotto a credere in una sua maggiore presenza. Nelle ipotesi in cui, ad esempio, la quota dell’ingrediente caratteristico sia riferita a una categoria di ingredienti anziché al totale dei componenti immessi nella formula del prodotto.

E per gli allergeni?

Da ultimo, non certo per ordine di importanza si rammenta l’indicazione obbligatoria degli ALLERGENI che se omessa comporta le seguenti sanzioni:

  1. Informazioni obbligatorie in etichetta, violazione norme generali (art. 5 D.lgs. n. 231/2017)

Allergeni

“Salvo che il fatto costituisca reato, la mancata apposizione delle indicazioni obbligatorie” relative agli allergeni comporta l’applicazione di una sanzione da 5 mila a 40 mila euro.

  1. Il sequestro sanitario delle merci è altresì doveroso, ai sensi della legge 283/1962, articolo 1.

La sanzione amministrativa pecuniaria non si applica nel solo caso in cui l’operatore responsabile “abbia avviato le procedure previste dall’articolo 19 del regolamento (UE) n. 178/2002 (ritiro/richiamo) prima dell’accertamento della violazione da parte dell’autorità di controllo[8]”.

Allergeni (art. 10 D.lgs. 231/2017)

Il mancato rispetto delle corrette modalità di indicazione degli allergeni in etichetta è punito con la sanzione amministrativa da € 2.000 a € 16.000. Salvo che il fatto costituisca reato.

Laddove le fattispecie di reato configurabili, trattandosi di disposizioni volte alla tutela della salute del consumatore, qualora dalla loro violazione possa derivare un danno, appunto alla salute, sono i delitti contro l’incolumità pubblica, o i reati di lesioni anche gravi o gravissime od omicidio colposo e ancora la contestazione penale ai sensi della L. n. 283/1962.

Attenzione alle “tracce”…

Non è consigliabile acquistare PANETTONI dove vi sia la dicitura “può contenere tracce di …” se si soffre di allergie/o intolleranze a determinati ingredienti in quanto tale scritta non esclude con certezza una possibile contaminazione del prodotto con alimenti contenti appunto allergeni.

La dicitura sopra considerata, “può contenere tracce di …” si annovera attualmente nell’alveo delle informazioni volontarie sugli alimenti e l’operatore del settore le utilizza in funzione cautelativa e/o preventiva di eventuali eventi avversi, nell’ipotesi in cui non sia in grado di garantire la completa assenza di allergeni dell’alimento prodotto.

Si sottolinea, in ogni caso, che il rischio di contaminazione accidentale da allergeni deve venire gestito, nell’ambito delle procedure basate sul sistema HACCP, come ogni altro rischio di carattere igienico-sanitario.

Le responsabilità per informazioni al consumatore che possano mettere a rischio la sua salute, come quelle descritte, sono strettamente correlate alla responsabilità di autocontrollo igienico dell’operatore responsabile. Può pertanto applicarsi il D.lgs. n.193/2007, recante sanzioni per la violazione delle norme di cui al Pacchetto Igiene. In particolare, l’art, 6, al comma 6, dispone che “l’operatore del settore alimentare operante ai sensi dei regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004, a livello diverso da quello della produzione primaria, che omette di predisporre procedure di autocontrollo basate sui principi del sistema HACCP, comprese le procedure di verifica da predisporre ai sensi del regolamento (CE) n. 2073/2005 e quelle in materia di informazioni sulla catena alimentare, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 1.000 a euro 6.000”.

Si tratta dei casi in cui, in via del tutto esemplificativa, non viene presa in considerazione, per l’appunto, la possibilità/il rischio di una contaminazione crociata accidentale di un alimento con ingredienti allergenici che non appartengono alla formula del prodotto; viceversa, la medesima sanzione potrebbe essere irrogata a causa della genericità dell’informazione che rivela l’inadeguatezza del sistema di autocontrollo [si pensi alla dicitura non meglio identificata ed errata “contiene glutine’, oppure ‘può contenere (cereali contenenti) glutine’ che ancora compare sulle etichette di numerosi prodotti][9].

Le allergie e il glutine

La presenza di glutine è comune a diversi cereali, i quali tuttavia devono venire citati individualmente (grano o frumento, farro, grano khorasan, segale, orzo, avena), poiché a ciascuno di essi può ricollegarsi un’allergia specifica. E ciò vale anche nel caso di presenza involontaria. Del resto, la lista degli allergeni di cui al Reg. UE n. 1169/2011 Allegato II paragrafo 1 rappresenta un elenco dettagliato e tassativo (“Cereali contenenti glutine, cioè: grano, segale, orzo, avena, farro, kamut o i loro ceppi ibridati e prodotti derivati, tranne: a) sciroppi di glucosio a base di grano, incluso destrosio; b) maltodestrine a base di grano; c) sciroppi di glucosio a base di orzo; d) cereali utilizzati per la fabbricazione di distillati alcolici, incluso l’alcol etilico di origine agricola”. Vale a dire che ogni singolo ingrediente allergenico deve venire indicato con il suo nome specifico, al di fuori dei casi di derivati che in tutta evidenza ne denotino la presenza.

È bene evidenziare che il regolamento che disciplina specificamente i prodotti senza glutine (che come detto è il n. 828/2014) prevede la facoltà, e non l’obbligo, di corredare le diciture “senza glutine” e “con contenuto di glutine molto basso” delle indicazioni complementari “adatto a/specificamente formulato per”*. Mentre un intervento del Ministero della Salute, proprio con riferimento agli alimenti adattati (ovvero specificamente formulati per celiaci, generalmente volti a sostituire il pane, la pasta e i prodotti da forno a base di cereali gluteinati) le cui denominazioni di vendita sono talvolta disciplinate da norme specifiche (norme verticali – quale il Panettone) pone una condizione informativa apparentemente in contrasto con il dettato normativo europeo. Ne consegue che, mentre il regolamento di esecuzione (UE) n. 828/2014 prevede la facoltà, e non l’obbligo, di corredare le diciture “senza glutine” e “con contenuto di glutine molto basso” delle indicazioni complementari “adatto a/specificamente formulato per”*, la nota ministeriale summenzionata pare imporre la dizione “specificamente formulato per” ogni qualvolta venga utilizzata l’indicazione “senza glutine”. Sembrerebbe quindi emergere un contrasto da quanto detto, ma a ogni modo deve considerarsi applicabile il solo disposto normativo portato dal regolamento europeo considerato il primato del diritto europeo su quello nazionale nell’ambito di materie disciplinate in modo armonizzato in ambito UE e, in particolare nel presente caso, anche dal fatto che la circolare ministeriale, nel sistema delle fonti, è un mero atto amministrativo di orientamento, non avente forza di legge né di regolamento[10].

Pertanto, per quanto attiene all’immissione in commercio, in generale, di alimenti riportanti la dicitura “senza glutine” o “con contenuto di glutine molto basso”, le diciture complementari di cui sopra* andranno considerate indicazioni di carattere FACOLTATIVO.

Quindi a maggior ragione attenzione all’etichetta e alla presenza delle indicazioni obbligatorie per legge!

 

Inoltre, nell’avvalersi di diciture relative al c.d. “may contain”, l’OSA dovrà comunque soddisfare, tra gli altri, i requisiti già sopra richiamati e, dunque si ritiene che anche l’indicazione “può contenere tracce di …” debba essere conforme a quanto indicato dall’art. 21 analizzato, ovvero tali indicazioni non dovranno indurre in errore il consumatore per quanto riguarda le caratteristiche dell’alimento (natura, identità, proprietà, composizione, ecc.), dovendo essere precise, chiare e facilmente comprensibili e non ingannevoli; né dovranno risultare ambigue o confuse per il consumatore. Anche perché le informazioni volontarie in contrasto con i criteri generali di veridicità e trasparenza – ovvero confuse o ambigue, sono a loro volta soggette a sanzione amministrativa da € 3.000 a 24.000 ai sensi del D.lgs. n. 231/2017 in quanto il soggetto è responsabile di avere fornito informazioni volontarie sugli alimenti in violazione dell’art. 36, paragrafi 2 e 3, Reg. (UE) n. 1169/2011.

Infine, si rammenta che se i prodotti sono venduti direttamente nei laboratori sul banco di vendita deve essere presente un cartello che indichi la denominazione di vendita e la lista degli ingredienti con un focus sugli allergeni. Tali indicazioni possono essere legittimamente fornite anche attraverso un registro dei singoli prodotti esposto nel punto vendita e disponibile alla consultazione da parte dei clienti.

Non ci resta che augurarvi cari auguri a tutti per un sereno natale E… NON ESAGERATE CON IL PANETTONE ANCHE SE E’ QUELLO “VERO”!!!

Elenco dei riferimenti normativi

  • Regolamento (CE) n. 178/2002 del Parlamento e del Consiglio del 28 gennaio 2002 che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l’Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare
  • Legge. 350/2003, cosiddetta legge finanziaria 2004 (art. 4, commi 66 e 67)
  • Reg. (CE) n. 852/2004 sull’Igiene dei prodotti alimentati
  • Reg. n. 2073/2005 che stabilisce i criteri microbiologici per taluni microrganismi e le norme di attuazione che gli operatori del settore alimentare devono rispettare nell’applicazione delle misure di igiene generali e specifiche di cui all’articolo 4 del regolamento (CE) n. 852/2004
  • D.lgs. 260/2005 Codice del Consumo
  • Reg. UE n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori
  • Regolamento di esecuzione (UE) n. 828/2014 della Commissione del 30 luglio 2014 relativo alle prescrizioni riguardanti l’informazione dei consumatori sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti
  • Nota del Ministero della Salute DGISAN n. 29826 del 22.7.2016
  • DM 22.7.2015 (aggiornato al DM del 16 maggio 2017) Ministero delle Attività Produttive. Disciplina della produzione e della vendita di taluni prodotti dolciari da forno
  • D.lgs. n. 231/2017 Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento (UE) n. 1169/2011 e della direttiva 2011/91/UE, ai sensi dell’articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170 «Legge di delegazione europea 2015»

*******************

NOTE

[1] Ventesima revisione dell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali (GU Serie Generale n.42 del 20-02-2020 – Suppl. Ordinario n. 9) 

[2] Una CURIOSITA’: per il Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese il Comitato dei Maestri Pasticceri Milanesi in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano hanno messo a punto un regolamento tecnico di produzione del panettone che avrà un logo con la scritta: “Prodotto di pasticceria, da consumare fresco, entro il ”, l’indicazione “senza conservanti” e potrà avere anche la scritta “Pasticceria autorizzata alla produzione del Panettone Tipico della Tradizione Artigiana Milanese” per garantire che il prodotto sia realizzato con determinati ingredienti, nelle proporzioni stabilite e seguendo le tecniche della lavorazione artigianale. I pasticceri e panettieri in Milano che hanno aderito sono circa 100 ed esporranno la vetrofania con il logo in vetrina. E così il panettone regalato sarà certificato: conterrà una piccola brochure che spiega come è diventato artigianale. è aperto ai pasticcieri, panificatori ed attività di produzione dolciaria di Milano e provincia. L’imprenditore che vuole fregiarsi del Marchio del Panettone Tipico della Tradizione Milanese deve sottoscrivere il disciplinare e rispettarlo nel suo contenuto. Deve inoltre sottoporsi ai controlli dell’ Ufficio Sanzioni ed Accertamenti della Camera di commercio di Milano. Per adesioni volontarie in Camera di Commercio o nelle associazioni aderenti, e-mail: panettone@mi.camcom.it.

[3] L’art. 4 comma 66 dispone che: “Allo scopo di assicurare migliori condizioni di trasparenza del mercato, garantendo la corretta informazione dei consumatori, con uno o più decreti del Ministro delle attività produttive e del Ministro delle politiche agricole e forestali, in coerenza con quanto previsto dall’Unione europea in materia, sono definite le condizioni di uso delle denominazioni di vendita dei prodotti italiani di salumeria e dei prodotti da forno. I decreti definiscono altresì i requisiti dei soggetti e degli organismi di ispezione abilitati ad effettuare i controlli, garantendone l’integrità e l’indipendenza di giudizio”.

[4] Si riporta riassuntivamente (per una disamina più ampia di rimanda alle singole norme citate nel testo) quanto previsto dall’art. 27 con riferimento ai commi 9, 10, 12: 9.“Con il provvedimento che vieta la pratica commerciale scorretta, l’Autorità dispone inoltre l’applicazione di una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000,00 euro a 500.000,00 euro, tenuto conto della gravità e della durata della violazione. Nel caso di pratiche commerciali scorrette ai sensi dell’articolo 21, commi 3 e 4, la sanzione non può essere inferiore a 50.000,00 euro. 10. Nei casi riguardanti comunicazioni commerciali inserite sulle confezioni di prodotti, l’Autorità, nell’adottare i provvedimenti indicati nei commi 3 e 8, assegna per la loro esecuzione un termine che tenga conto dei tempi tecnici necessari per l’adeguamento. 12. In caso di inottemperanza ai provvedimenti d’urgenza e a quelli inibitori o di rimozione degli effetti di cui ai commi 3, 8 e 10 ed in caso di mancato rispetto degli impegni assunti ai sensi del comma 7, l’Autorità applica una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 150.000 euro. Nei casi di reiterata inottemperanza l’Autorità può disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a trenta giorni.

[5] REGOLAMENTO DI ESECUZIONE (UE) N. 828/2014 DELLA COMMISSIONE del 30 luglio 2014 relativo alle prescrizioni riguardanti l’informazione dei consumatori sull’assenza di glutine o sulla sua presenza in misura ridotta negli alimenti.

[6] Nel 2011 AIC ha diffuso il documento Le “contaminazioni” nella dieta senza glutine, frutto del lavoro di un gruppo misto laico-scientifico che si era avvalso della professionalità ed esperienza dei membri dell’allora Comitato Scientifico Nazionale, di alcuni professionisti dello staff e di alcuni rappresentanti del Direttivo Nazionale. Il documento è stato successivamente revisionato (2017) ed è disponibile https://www.celiachia.it/dieta-senza-glutine/gestire-dieta-senza-glutine/le-contaminazioni/. Ha l’intento di chiarire che cosa siano le contaminazioni da glutine e come e perché vadano gestite correttamente.

[7] Vedi nota n. 5

[8] Bene precisare che la predetta sanzione può non essere applicata se l’operatore del settore abbia avviato la cosiddetta procedura di ritiro/richiamo del prodotto di cui all’art. 19 del Reg. (UE) n. 178/2002 prima dell’accertamento della violazione da parte dell’Autorità di controllo. Gli obblighi previsti dal Reg. (CE) n. 178/2022 a carico delle imprese alimentari consistono nel dovere generale di immettere sul mercato unicamente prodotti sicuri (artt. 14,15,17); nell’assicurare la rintracciabilità (art. 18) e, infine, nel tenere determinate condotte in caso di non conformità di cui all’ art. 19 del Regolamento che consistono, appunto nel ritiro, richiamo e notifica di alimenti a rischio. In particolare, se l’alimento risulta a rischio perché dannoso per la salute o inadatto al consumo umano ai sensi dell’art. 14 Reg. (CE) n. 178/2002, e non si trova più sotto il controllo immediato dell’OPS (operatore settore alimentare) che lo ha importato, prodotto, trasformato, lavorato o distribuito, deve essere avviata la procedura di ritiro e deve essere informata l’Autorità competente (art. 19 Reg. (CE) n. 178/2002). Diversamente, se l’alimento a rischio può essere giunto al consumatore, l’OSA lo informa in maniera efficace e accurata del motivo del ritiro e, se necessario, richiama i prodotti già forniti ai consumatori (ad esempio con cartelli esposti nei negozio, nella GDO, pubblicazioni sul web o/e sui giornali ….) quando altre misure non siano sufficienti a conseguire un elevato livello di tutela della salute. Tale regola premiale non si applica nel caso di allergeni non dichiarati: la contestazione penale ai sensi della L. n. 283/1962 se non anche un delitto sanitario del codice penale è tecnicamente configurabile.

[9] Sul sito dell’AIC in riferimento alle contaminazioni si legge che : “(…) Molti sono i dubbi ancora non risolti; per esempio, se una assunzione di glutine molto rilevante (ad esempio un panino, che può contenere più di 2 grammi di glutine, cioè quaranta volte la dose di sicura tossicità di 50 mg stabilita dallo studio di Catassi et al.) in un solo giorno, sia più o meno dannosa di una minore, ma reiterata assunzione nel tempo, così come nessuno può dirci di più su quale sia, tra 10 mg e 50 mg, la soglia che inizia ad essere tossica. L’applicazione del principio di precauzione della salute (Regolamento CE 178 del 2002) impone che, date le conoscenze oggi disponibili, si consideri il limite dei 20 ppm come soglia di garanzia. Ciò presuppone che si evitino, per quanto possibile, contaminazioni involontarie da glutine. L’osservazione di poche, chiare regole di comportamento nella preparazione dei cibi, nella scelta dei prodotti a rischio e degli alimenti preparati fuori casa, consente il rispetto di tale limite senza forti condizionamenti”.

[10] Diverso il caso di cui al Decreto del Ministero della Salute (DM 17 maggio 2016) che ha disposto che rientra nei livelli essenziali di assistenza sanitaria l’erogazione, tra gli altri, dei prodotti alimentari di seguito indicati: “alimenti con dicitura «senza glutine, specificatamente formulati per celiaci» o «senza glutine, specificatamente formulati per persone intolleranti al glutine» per persone affette da morbo celiaco, compresa la variante clinica della dermatite erpetiforme… In questo specifico caso, la previsione dell’obbligo, anziché della facoltà, di riportare l’indicazione complementare esplicativa potrebbe essere valevole e necessaria a distinguere i prodotti alimentari specificamente formulati per i celiaci dagli alimenti semplicemente adatti ai celiaci, considerato che solo per i primi è possibile avvalersi della notifica al Ministero della Salute finalizzata all’inserimento in apposito registro ove sono contemplati gli alimenti venduti a mezzo di fornitori convenzionati dal sistema sanitario nazionale.

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